Giornalismo e guerra: “Oggi il pensiero critico da fastidio, mai come in questo momento viene colpito chi cerca la verità” – AUDIO

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“In guerra la prima a morire è la verità”. Sembra essere proprio questo il filo rosso che lega il giornalismo e la guerra. Non perché i giornalisti siano “non veri”, ma perché ogni parte cerca di curare i propri interessi. Se n’è parlato oggi con Rino Rocchelli, papà di Andy, fotoreporter ucciso nel 2014 in Donbass. Andy fu tra i fondatori di Cesura, il collettivo internazionale di fotoreporter che ha sede in Valtidone e lavori all’attivo in tutto il mondo. Con lui il fondatore di Articolo21.org ed ex presidente della Federazione nazionale della Stampa, il giornalista Giuseppe Giulietti. Incontro che si è tenuto all’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano.

Rocchelli ha fatto tappa prima in piazza Cavalli, ospite della Tenda della Pace allestita dalla sezione piacentina di Europe for Peace.

Oggi ospite a Piacenza, ha visitato la nostra Tenda della pace come l’ha vista?

“Ma insomma, sicuramente di questi periodi non si può non parlare di pace perché si parla molto forse troppo di guerra. Per cui è un’iniziativa che ci vuole. E poi vabbè la partecipazione magari non è totale, non è un proprio corale della città. Comunque è un simbolo che dura. E una cosa sicuramente molto positiva”.

Lei oggi è qui per portare una testimonianza che anche è stata molto dolorosa. L’ha toccata direttamente.

“La prima a morire in guerra è la verità per cui nel nostro caso al di là della tragedia personale ha comunque molti aspetti interessanti sulla libertà di stampa, sulla importanza dell’informazione in questi periodi in questi frangenti di guerra. Parliamo della Palestina, decine di giornalisti morti, l’Ucraina pure quindi. Uccidere un giornalista è accecare gli occhi del mondo”.

Ecco suo figlio era un fotoreporter. Lei ha detto che in guerra la prima a morire è la verità. Davanti all’obiettivo della macchina fotografica non si può mentire però, quindi Andy dipingeva l’orrore nella sua cruda realtà.

“Mio figlio non era proprio un reporter di guerra: un reporter di guerra è uno molto preparato, uno che ha l’elmetto, assicurato, uno inviato e protetto. Mio figlio era un freelance e non ha mai seguito situazioni su fronte, quindi situazioni di grande pericolo. Seguiva più che altro situazioni di crisi. Quello in cui si è trovato era l’inizio di una crisi che poi è diventata appunto una guerra. Era accompagnato da questo suo collega amicissimo Andrey Mironov persona molto interessante e molto esperto: per cui non pensavamo che fosse una situazione così pericolosa come poi è capitato. Nemmeno lui lo sapeva”.

Sul tema della verità è intervenuto anche Giulietti

“Allora, aggiungiamo che c’è un grande fastidio per il pensiero critico. Mai come in questo momento in tutto il mondo vengono colpiti i giornalisti e i giornalisti da mafie, oligarchie e regimi perché temono la luce, perché per fare la guerra e vendere le armi serve il buio. Naturalmente però ai giornalisti spetta il compito di dare tutte le notizie, anche quelle sgradite, di difendere il pensiero critico, perché altrimenti le persone sono destinate a non sapere”.

“E quindi la cosa principale è rifiutarsi, anche se so che non è sempre semplice, di mettersi l’elmetto, di mettersi la divisa. Ricordarsi che non bisogna stare dalla parte dei regimi, ma bisogna stare dalla parte delle vittime, sempre, comunque, dovunque, anche quelle che non ci piacciono perché hanno un altro colore della pelle, perché fanno altre scelte, perché pregano in un altro modo. Ma quando ti metti l’elmetto hai distrutto la tua funzione, non c’è più libertà di informazione”.

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