Energia e conflitti: Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace, è stato ospite dell’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano per l’incontro dal titolo “Energia e conflitti”. Un ciclo di incontri promosso dall’Università Cattolica del Sacro Cuore insieme a Caritas Diocesana di Piacenza, Svep Centro Servizi per il volontariato di Piacenza, Associazione Piccolo Mondo e Fondazione Migrantes, finalizzato a riflettere di geopolitica, cooperazione internazionale, economia globale, pace, conflitti e migrazioni.
Tema di questa sera sono i conflitti e le risorse energetiche. Ci sono guerre dove pare che le risorse energetiche non c’entrino. In realtà però uno spettro che è sempre presente: mi viene in mente la Palestina per esempio, quanto contano le risorse energetiche?
No, le risorse energetiche sono spesso una concausa sottostante. Lo sono in varie situazioni. Abbiamo avuto guerre proprio per l’energia, ma adesso la situazione possiamo semplificarla in questo modo. La transizione per combattere la crisi climatica procede troppo lentamente per bloccare la crisi climatica, ma abbastanza velocemente da mettere in crisi quello che è a tutti gli effetti un oligopolio mondiale dell’energia fossile, quindi gas, petrolio e poi anche carbone, ma soprattutto gas e petrolio. È un mercato gestito in regime di cartello, OPEC più Russia, ed è un mercato destinato a poche persone: noi qui stasera potremmo organizzare una cooperativa solare, ma difficilmente potremmo diventare petrolieri”.
“Quindi questo sistema che oggi è la base dell’80% dell’energia che si usa nel mondo è messo in discussione perché la transizione sta spostando e sta muovendo enormi investimenti in tecnologie che se andassimo più in fretta ci aiuterebbero certamente anche a evitare la crisi climatica. Questi soggetti oligopolisti investono anche nei nuovi settori, ma i nuovi settori sono caratterizzati da una maggiore complessità. Sono settori altamente competitivi, dove ci sono aziende piccole e medie, grandi, internazionalizzate, non internazionalizzate e il modello di business per certi versi è opposto a quello dell’industria del petrolio”.
“Il settore petrolifero è fatto da alcuni importanti Stati e dalle loro aziende pubbliche, da una trentina di aziende multinazionali che controllano meno le risorse ma hanno la tecnologia. Ecco, questi soggetti sono dei dinosauri industriali che sono oggi messi in crisi dalla transizione perché non riescono a farla e quindi questi dinosauri difenderanno il loro potere dando colpi di coda e questi colpi di coda rischiano di sfasciare tutto”.
Ma con la transizione ecologica ci potrebbero essere meno conflitti?
No, i conflitti sono legati a tanti motivi. Certamente un mondo che fa la transizione è un mondo nel quale ci sono paesi magari in netto vantaggio ma non ci paesi che controllano delle risorse territorialmente per cui quelle risorse le hanno loro e gli altri non le hanno. Si tratta di tecnologie, di cicli industriali. Diciamo che la Cina è in vantaggio su tutti, ma Europa e Stati Uniti seguono dietro. E invece in fondo alla classifica ci sono proprio paesi come la Russia, l’Arabia Saudita e il Qatar. Ora, domani ci saranno conflitti di tipo diverso, però certamente se noi oggi guardiamo il circuito petrolifero e il circuito di vendita delle armi, questi due circuiti internazionali largamente si sovrappongono”.
“Quindi oggi sono al tavolo negoziale dei conflitti e delle guerre che in parte finanziano. Questo è un cambiamento molto delicato in questa fase storica, “Quindi il tentativo oggi è quello di evitare questa guerra e in questo senso la battaglia per la pace e la battaglia per il clima largamente si sovrappongono. Il Segretario generale delle Nazioni Unite Guterres ha detto: “Se agiamo insieme, cioè se ristabiliamo dei rapporti di cooperazione, il progetto delle rinnovabili può essere il progetto della pace per il XXI secolo”.
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