“La mia autonomia e la mia persona, poco allineata, urtava. D’altronde io sono sempre stato un tipo schietto, aperto, determinato (al limite del testardo) ma anche democratico ed inclusivo”. Con queste parole Cristian Lertora lascia la Presidenza della FIPE, federazione italiana pubblici esercizi, aderente alla Confcommercio di Piacenza.
“Lascio perché credo che non ci fossero più, almeno per me, le condizioni per lavorare: o mi sento soddisfatto o non ne vale la pena, visto che non è il mio mestiere ma lo faccio per passione“, dice ai microfoni di Radio Sound.
“Non ho sentito mancare la fiducia degli associati, assolutamente, anzi: da quando è uscita la notizia gli associati mi hanno subito scritto, perché gli associati sono colleghi con cui si è instaurato un rapporto di amicizia. Più che altro il meccanismo si è incastrato nel momento in cui non mi sono più sentito supportato dall’associazione: lassismo più assoluto, un’associazione che non vuole fare sindacato, e così io non mi riconosco più perché io sono abituato a metterci la faccia, a portare avanti le battaglie per la mia categoria lavorando al 100% e senza guardare ad altri interessi collaterali”.
“Ora si aprono scenari nuovi, perché le battaglie di dieci anni fa non sono più attuali. Le sfide oggi sono altre: ci vuole programmazione, informazione e formazione per continuare a tenere aperte le nostre aziende senza licenziare i dipendenti, soprattutto lavorare al meglio nei prossimi anni”.
UN ESTRATTO DELLA LETTERA DI CRISTIAN LERTORA
Ora è giunto il momento di lasciare il ruolo di Presidente della FIPE all’interno dell’Unione Commercianti. Sia perché è giusto (non si resta Presidenti a vita), sia perché si prosegue se si condividono i metodi, le modalità di agire. Si resta se il proprio ruolo trova riconoscimento e soprattutto se vi è la possibilità di essere lasciati liberi di fare, altrimenti, si cambia. Come dicevo, gli ultimi anni non sono stati facili. L’espormi in prima persona non è sempre stato gradito, le mie scelte non sono sempre state apprezzate da coloro che non vivono della nostra quotidianità di baristi e ristoratori. La mia autonomia e la mia persona, poco allineata, urtava. D’altronde io sono sempre stato un tipo schietto, aperto, determinato (al limite del testardo) ma anche democratico ed inclusivo. Ho sempre giocato per la squadra e mai solo per me stesso. Ho sempre interpretato il mio ruolo di Presidente come un ruolo di servizio e credo di averlo dimostrato in questi anni rispondendo sempre, giorno e notte, a tutte le chiamate dei colleghi.
Tutti noi sbagliamo e io di errori in questi anni ne ho compiuti, tuttavia, li ho sempre commessi in buona fede, restando sincero, cercando il buono, e non l’utile negli altri, ma soprattutto, non piegando la mia etica ad un mio tornaconto.
In molti mi hanno chiesto di restare, ma come ho detto, i presupposti non esistono più. Non posso e non è corretto rimanere in una casa nella quale ci sono “regole” e metodi che non si adattano alla mia persona. E’ giusto che prosegua chi, in queste “regole, si ritrova.
Come Presidente della FIPE in questi anni ho cercato di difendere l’indipendenza della nostra categoria, ho portato le nostre istanze, idee e progetti all’interno dell’Unione. Purtroppo oggi questa libertà, questa indipendenza, a me, non è più consentita. Non mi è più stato consentito avere alcun confronto, alcuna forma di dialogo o realizzare alcun tipo di iniziativa per il rischio che questa potesse minacciare la visibilità di chi alla visibilità tiene più che alla soluzione dei problemi.
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