Lunedì 16 maggio 2022, presso l’Auditorium Sant’Ilario di Piacenza si è tenuto un incontro dal titolo “Il suicidio assistito e il suicidio dell’Occidente”, promosso da Alleanza Cattolica di Piacenza, Comitato Family Day e Pubblica Agenda “Ditelo Sui Tetti”. L’argomento centrale della serata è stata una riflessione approfondita sulla proposta di legge sul fine vita di Alfredo Bazoli, che a breve inizierà il percorso di approvazione al Senato della Repubblica.
I relatori, introdotti da Ignazio Cantoni di Alleanza Cattolica, sono stati il medico palliativista dott. Ferdinando Garetto, il Dottor Massimo Polledri, neuropsichiatra e bioeticista, già Deputato e Senatore, il dottor Andrea Fenucci del Comitato Family Day e l’Avvocato Roberto Respinti, esperto di Diritto del Lavoro ed esponente del Centro Studi Rosario Livatino.
Dopo una breve introduzione, in cui il Dottor Cantoni ha ricordato il pensiero di Socrate, secondo cui l’essere umano non è composto solo da muscoli e ossa, ma anche da qualcosa di più profondo e sostanziale che non sia il puro dato oggettivo, qualcosa che vada oltre l’organismo, ossia l’anima, la quale tutto può cambiare rispetto allo stimolo ricevuto, ha preso la parola il dottor Garetto, che ha illustrato in maniera molto esaustiva il sistema delle cure palliative, dal punto di vista medico, legislativo e psicologico.
Il medico, con trentennale esperienza come palliativista, ha sottolineato che le definizioni dell’OMS affermino il valore della vita, considerando la morte come un evento naturale, non prolungando né abbreviando l’esistenza del malato, ma provvedendo al sollievo dal dolore e dagli altri sintomi, migliorando quindi la qualità della vita e considerando anche gli aspetti psicologici e spirituali, per aiutare non solo il paziente, ma anche la famiglia a convivere con la malattia prima e con il lutto dopo.
Il dottor Garetto ha evidenziato quando le cure palliative siano un sistema di supporto complesso, gestito da una equipe multi disciplinare, che prevede trattamenti che non siano un accanimento, ma piuttosto un supporto per affrontare il dolore fisico e spirituale di tutti coloro che sono coinvolti e che in questo modo possano sentirsi accompagnati e meno soli nel difficile momento che porta alla fine della vita.
Essenziale quindi non è uccidere la persona, ma uccidere il dolore, affinché la vita possa emergere di nuovo e continuare fino alla fine.
Parallelamente, sottolineando quanto la “domanda di eutanasia” vada ascoltata, presa sul serio e richieda una risposta autentica, un “tempo” e una “presenza”, in quanto espressione di sofferenza profonda, il dottor Garetto ha messo in evidenza quando l’eutanasia sia, a differenza delle cure palliative, un intervento attivo, che prevede il decesso immediato e anticipato del paziente. L’eutanasia, quindi, è indipendente dall’attesa di vita e non allevia lo stress della malattia, ma provoca la morte immediata. Essa non ha come scopo quello di diminuire la sofferenza del paziente e dei suoi familiari, ma di concludere anticipatamente il percorso di vita del malato.
L’eutanasia appare quasi come un “argomento persuasivo”, nei confronti di persone anziane, croniche o gravemente ammalate, che potrebbero sentirsi un peso per le proprie famiglie, e arrivare quindi a chiedere un trattamento di fine vita per “liberare” sé stessi e i propri cari da una sofferenza altrimenti insopportabile. A contrasto di questo, il Dottor Fenucci ha portato la propria testimonianza di vita. Egli, in collaborazione con altri volontari della associazione “Family Day”, ha portato conforto e cura a una persona anziana gravemente ammalata e con un figlio lontano, accompagnandola nelle ultime settimane di vita, prima accudendola in ospedale, poi in hospice, permettendo alla donna di poter vivere fino alla fine in modo dignitoso e sereno, senza accanimenti e senza sentirsi un peso per nessuno, e infine aiutando anche il figlio nell’elaborazione del lutto, a dimostrazione che l’assistenza e la cura, e non la richiesta di morte anticipata, sono le vere armi contro la sofferenza.
Riallacciandosi al titolo della serata e a conferma di quanto asserito dai relatori precedenti, il dottor Polledri ha sottolineato quanto l’Occidente stia negando la propria identità, sulla scia della “cancel culture” americana, e quanto le persone stiano perdendo i legami con il sacro, con il proprio passato e con il proprio futuro, ponendo le basi per una società senza valori, tristemente portata al suicidio. Il suicidio è, tristemente, la seconda causa di morte nella società occidentale nei giovani tra i quindici e i trentaquattro anni. I fattori socio-culturali, che possono influenzare una scelta di questo tipo, dipendono dai legami che gli individui hanno all’interno della loro società: ambienti dove l’attaccamento religioso è più forte, vedono una minore tendenza al suicidio. Anche le relazioni sociali sono fondamentali: oggi il suicidio è frutto della solitudine e della desolazione, l’attesa di qualcosa che non arriverà. Altro elemento da considerare è la regolamentazione sociale dei desideri individuali: meno condivisione di valori si ha e meno ci si sente parte di un progetto condiviso, maggiore è la tendenza al suicidio. Le persone sole, non integrate, che hanno perso riferimenti e speranza, che pensano che ormai tutto sia concluso e non ci siano più possibilità sono coloro che tentano il suicidio e che chiedono l’eutanasia. La domanda se esista un forte legame tra eutanasia e suicidio è dunque una domanda di senso: una società che non ha senso è una società che aumenta il numero dei suicidi e delle richieste di fine della vita.
L’Avvocato Respinti passa successivamente ad illustrare dettagliatamente i dubbi emersi in seguito all’esame tecnico del testo della normativa.
La sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale, sorta sull’eco del Caso Cappato afferma che costituzionalmente il suicidio assistito è perseguibile penalmente e ha indicato che il Parlamento debba provvedere ad una legge specifica sul fine vita, ma ha anche ricordato la centralità delle cure palliative per il malato. Occorre però prestare molta attenzione, in quanto nella proposta di legge sul fine vita di Alfredo Bazoli, non c’è traccia delle cure palliative, ma c’è invece una attenzione al principio della autodeterminazione della persona, nella sua singolarità e nella libertà di quello che ritiene più opportuno per sé.
Secondo questa proposta di legge il suicidio appare come un “diritto”, e il testo risulta una sorta di elenco di “istruzioni”, una procedura su come accedere alla richiesta di fine vita con assistenza medica. Una morte volontaria procurata con assistenza medica, e nel rispetto dei principi della Costituzione, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e della Carta dei diritti fondamentali dell’UE appare come un suicidio medico, in contrasto alla deontologia professionale, e un suicidio giuridico, in contrasto a tutte le normative che prevedono la salvaguardia della tutela a favore dei più deboli.
Non si pone l’accento sul rispetto della dignità del vivere, anche nella sofferenza, accompagnando la persona nel suo percorso fino alla morte naturale, ma si stravolge il concetto di dignità. Si parla di morte dignitosa in quanto conforme alla legge: una persona vede salvata la propria dignità se si suicida nel rispetto delle regole.
L’art. 3 di tale proposta prevede che possa fare richiesta di morte volontaria la persona che sia stata previamente coinvolta in un percorso di cure palliative e le abbia esplicitamente rifiutate o le abbia solitariamente interrotte: tuttavia la legge n. 38/2010 risulta in realtà non attuata su tutto il territorio nazionale, con la conseguenza banalizzazione e burocratizzazione di questo percorso, in cui un semplice modulo di consenso informato può dare l’avvio alla procedura.
Il testo Bazoli va oltre la Corte Costituzionale: la condizione medica irreversibile citata può riguardare una patologia molto generica, non solo una malattia terminale. Anche la prognosi infausta è dal punto di vista medico una condizione piuttosto sfumata. Ciò che manca completamente è il fatto di essere una malattia terminale. Qui il rischio di interpretazione ampia e ambigua è dunque altissimo.
La richiesta di morte, in base alla proposta di legge, può essere acquisita in caso di impossibilità a scrivere, da una registrazione video. Il medico prospetta al paziente le conseguenze e le possibili alternativa, anche avvalendosi di supporto psicologico. L’art. 6 introduce l’obiezione di coscienza, ma il medico che ha titolo per relazionarsi con questo tipo di procedura è un operatore che non ha dichiarato obiezione di coscienza, con conseguente problematica di carattere etico. Al contrario, il medico di famiglia che ha seguito il percorso di malattia conosce il paziente e la famiglia, se è obiettore di coscienza verrà estromesso da questo percorso.
Se il parere è favorevole, il medico lo trasmette alla direzione sanitaria locale o dell’azienda di riferimento. Nel caso in cui il medico non ritenga di trasmettere la richiesta al Comitato per la valutazione clinica, o in caso di parere negativo dello stesso comitato, la persona può comunque ricorrere al giudice entro il termine di sessanta giorni: come logica conseguenza del diritto soggettivo di morire, il paziente può esigere il rispetto di tale diritto. Questo trasforma in regola ciò che per il caso Cappato rappresentava una eccezione. Ma se il medico aveva espresso parere negativo e invece il giudice impone un’altra decisione, significa anche che una vita viene decisa in sede giudiziale e non medica. Non c’è più la salvaguardia della vita, ma il suo aspetto psicologico, spirituale e morale vengono meno in nome di una sentenza.
Con l’approvazione di questa legge, secondo i relatori, appare evidente il rischio che l’eutanasia diventi un metodo di riequilibrare il saldo di natalità, un sistema per eliminare chi non è più produttivo, chi costituisce prevalentemente un costo, chi si sente un peso per i propri cari, istigando quasi il desiderio di morire, come soluzione unica ad ogni problema. Il rispetto della persona, il suo supporto dal punto di vista medico, sociale e assistenziale con una norma di questo tipo verrebbero completamente a mancare.
Le conclusioni sono state affidate al Senatore Pietro Pisani, che ha affermato quanto questo disegno di legge rischi di far piombare il Paese nell’oscurantismo. Il Senatore ha ricordato la struttura delle armature medievali, che avevano una apertura all’altezza della giugulare, che serviva per pugnalare a morte il cavaliere quando non aveva più possibilità di salvarsi. Secondo il Senatore Pisani, una legge come la Bazoli, anziché difendere la vita e tutelare la dignità di ogni individuo, altro non è che un invito alla morte di coloro che soffrono e sono deboli, quasi che la società di oggi pretendesse solo persone giovani, sane, consumiste e produttive, che non rappresentino un costo per il Sistema Sanitario Nazionale o un “peso” per i familiari. Il Senatore si è detto pronto a combattere con tutte le sue forze insieme ai colleghi Senatori al di là dei partiti e degli schieramenti politici per correggere e migliorare questa legge, per renderla veramente al servizio della persona e non a tutela dei poteri economici o di una società che considera le persone deboli come non competitivi e quindi da eliminare. La vita deve essere protetta e rispettata fino alla fine.
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