Pinosa a palazzo Galli: “Il Covid ha portato vantaggi economici alla Cina ma ora il nuovo gigante globale sta rallentando”

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Un’analisi – come sempre puntuale e documentata – della situazione finanziaria internazionale con l’attenzione puntata sul nuovo gigante globale, la Cina, di cui Gabriele Pinosa – ospite dell’Autunno culturale della Banca di Piacenza a Palazzo Galli – ha esaminato luci e ombre. Un incontro organizzato in occasione della Giornata del risparmio, a ribadire l’attenzione al tema dell’Istituto di credito, unico sul territorio a celebrare ottobre come mese dell’educazione finanziaria, avendo da sempre nel proprio dna l’obiettivo di coltivare clienti consapevoli e informati.

Il presidente di Go-Spa Consulting, dopo il saluto introduttivo del presidente del Cda della Banca Giuseppe Nenna, si è dapprima domandato se la Repubblica Popolare guidata da Xi Jinping sia uscita “vincitrice” dalla crisi mondiale dovuta al Covid. Esaminando i dati, sembrerebbe di sì: il Pil cinese nel 2020 è (tra i pochi) aumentato del 2,3% (con proiezioni di crescita all’8% per quest’anno, e al 5,6% per il 2022) grazie all’export e agli investimenti pubblici (la sfida per il 2021 è invece soprattutto legata alla crescita dei consumi interni). C’è comunque qualche segnale che fa vacillare le sicurezze del regime di Pechino: nel Piano quinquennale 2021-2025, per la prima volta non è stato definito un target di Pil da raggiungere, se non il raddoppio entro il 2035. Tra le ombre evidenziate dal dott. Pinosa, i chiari segnali che la Cina stia rallentando il suo sviluppo: il Pil 2021 nel primo trimestre era al 18,3%, nel terzo trimestre al 4,9; in frenata anche gli aumenti della produzione industriale e delle vendite al dettaglio.

Il relatore ha poi preso in esame la “guerra” Usa-Cina parlando di «trappola di Tucidide», vale a dire del rischio di un conflitto che si manifesta quando una nuova potenza emergente cerca di sostituirne un’altra già consolidatasi come egemone. «Lo scontro – ha rimarcato il dott. Pinosa – è tra capitalismo liberale e capitalismo politico, quest’ultimo gestito dallo Stato, costretto ad alimentare una crescita economica costante per legittimare il potere». I motivi di frizione tra le due potenze mondiali sono molteplici: sul fronte dei diritti umani e delle leggi internazionali, dopo il caso Hong Kong, la “linea rossa” Usa-Cina è Taiwan; è in atto una sfida anche tra G7 e Pechino («sono finiti i tempi – ha dichiarato il portavoce dell’Ambasciata cinese a Londra – in cui un piccolo gruppo di Paesi poteva decidere le sorti del mondo») e lo scontro ora si è spostato anche nello spazio, con le missioni su Marte.

Tornando alle ombre, qualcuna si affaccia sulla sostenibilità del modello di crescita della Repubblica Popolare: il debito delle imprese cinesi private non finanziarie è al 155% del Pil, ma c’è un forte aumento dell’indebitamento delle famiglie, che dura da cinque anni; il debito delle amministrazioni locali ammonta al 60-70% del Pil; quello del settore immobiliare a circa 5mila miliardi di dollari, pari al Pil del Giappone.

Sulle opportunità di investimento in Cina, il dott. Pinosa ha citato una frase di George Soros dello scorso settembre: «Chi investe in titoli cinesi rischia un brutto risveglio. Xi Jinping non sa come funzionano i mercati».

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