Bene il restauro della Chiesa del Carmine. Vi sono però due criticità: perché anche la facciata esterna non ha goduto di un restauro? Come è stato possibile concepire un soppalco così invasivo e dannoso? E’ questa la posizione di Italia Nostra.
Oggi ufficialmente si presenta il restauro della chiesa del Carmine, uno dei più importanti edifici religiosi trecenteschi di Piacenza. Edificio che da oltre due secoli, quindi dalla sua soppressione in epoca napoleonica, giaceva negletta; questo benché la sua eccellente architettura romanico gotica ne avesse propiziato, agli inizi del Novecento, il suo inserimento nell’elenco degli edifici di Piacenza dichiarati Monumenti Nazionali.
E’ stato però necessario che trascorresse ancora più di un secolo per un globale intervento di restauro. Intervento finalizzato a recuperare il grandioso fabbricato di origine monastica. La chiesa, a tre navate, ha un impianto planimetrico di immediata e semplice lettura; divisa in sei campate e scandita da otto colonne in laterizio è caratterizzata da una zona absidale perfettamente inserita in questa proporzione geometrica.
Questi pregi architettonici, esaltati dalle volte a crociera sovrastanti le tre navate ed il transetto non presentavano particolari problemi di restauro. La struttura, in laterizio, doveva solo essere ripulita, consolidata e intonacata per fare ricomparire lo slancio delle forme goticheggianti; e anche l’armoniosa luce che proveniva dalle finestre ogivali e dal finestrone absidale.
Il soppalco
Tale intervento di restauro ha riguardato tre navate ma non nella zona absidale; qui, ove sorgeva l’altare, da secoli scomparso, una volontà maligna ha voluto inserire un “soppalco”, come lo hanno definito. Una struttura consistente in un solettone cementizio sostenuto da travature metalliche, provvisto di scala d’accesso e persino di ascensore. Una costruzione che sconvolge l’equilibrio originale del monumento; il tutto arrivando ad occupare – il soppalco – lo spazio sino alla metà del transetto ed il complesso scale/ascensore quasi tutta l’area destra del transetto.
Contro tale brutale inserimento Italia Nostra sezione di Piacenza è insorta manifestando la propria contrarietà ed il proprio sdegno; tuttora mantiene tale posizione, sostenendo che questa intrusione, di nessun pregio, sconvolge gli equilibri interni e danneggia anche il recupero della pregevolissima architettura trecentesca.
Il soppalco appare più simile ad un viadotto che ad un elemento aggiuntivo con finalità tecnologiche che, talvolta, può risultare necessario collocare in edifici storico/artistici. Emergono perplessità sull’operato di chi ha concesso il necessario benestare al progetto, la cui realizzazione è costata circa cinque milioni e mezzo, una parte dei quali, non certo piccola, è stata spesa per quest’opera intrusiva, che ha un ingombro visivo devastante.
Il restauro della facciata
Con la somma spesa per tale bruttura si sarebbe potuto restaurare la facciata barocca della chiesa, che prospetta su Via Borghetto; infatti è rimasta malamente scorticata dall’intonaco e con l’aspetto del lavoro lasciato a metà, in netto contrasto con l’accurata rifinitura delle tre navate interne. Sarebbe auspicabile, a tale riguardo, una smentita ufficiale che l’inserimento del solettone cementizio, nel progetto di recupero dell’antico edificio, sia stato propiziato dalla prospettiva di maggiori finanziamenti. Altrettanto opportuna sarebbe la palese ammissione che si tratta di un’opera irreversibile, non di una sorta di precario; come sono irreversibili tutte le strutture che non possono essere rimosse se non demolendole.
E’ meraviglia davvero che la Soprintendenza, così attenta a bacchettare il privato che faccia un buchetto in una muratura antica, non sia intervenuta in corso d’opera; quando l’intervento irreversibile si manifestò chiaramente, se già non fosse emerso dai disegni progettuali.
Intenzione ideologica?
Ma forse queste gravi mende del restauro nella chiesa del Carmine hanno una loro sottesa ragione ideologica; il soppalco nel presbiterio, sostitutivo dell’altare, la facciata lasciata in uno stato di slabbrato abbandono, possono rivelare l’intenzione di cancellare l’impronta cristiana negli edifici un tempo adibiti al culto cattolico.
Lo si potrebbe quindi considerar un esempio di “restauro laico” che, in analogia con quanto avviene in altri settori della cultura, ove la scristianizzazione è imperante, si sta diffondendo anche nel restauro delle chiese, cancellandone o alterandone gli elementi architettonici più evidentemente “confessionali”.
Ma questa sorta di iconoclastia è assai pericolosa per la corretta tutela del monumento, essa può portare, come nel caso del Carmine, a inserire delle brutture blasfeme e a lasciare erodere dagli agenti atmosferici le statue della Vergine e dei Santi. Ed Italia Nostra, pur non essendo “confessionale” non può tacere di fronte a tali vandalismi.
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