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“1449 Intrigo al castello”, la storia diventa spettacolo il 3 agosto a Pizzighettone nella cerchia muraria e Piazza d’Armi

La storia diventa spettacolo. “1449 Intrigo al castello”. Appuntamento sabato 3 agosto alle 21:30 a Pizzighettone nella cerchia muraria e Piazza d’Armi. Si tratta di uno spettacolo di narrazione storica che racconta la conquista della roccaforte da parte di Francesco Sforza, signore di Piacenza. 

Evento della serie itinerante «Racconti d’estate».

“1449 Intrigo al castello”, la storia diventa spettacolo il 3 agosto

1449: un condottiero del Rinascimento italiano conquista con l’astuzia una piazzaforte della Lombardia. Una vicenda lontana nel tempo ma che rivela aspetti interessanti e inaspettàti, fonte di un racconto dalla trama ricca e coinvolgente.

È il cuore di Pizzighettone 1449: intrigo al castello: lo spettacolo che sabato sera 3 agosto 2024 (ore 21:30) racconterà al pubblico la conquista sforzesca della roccaforte di Pizzighettone. È una narrazione storica presentata in forma dinamica, attraverso un percorso guidato a tappe entro le antiche mura del borgo cremonese sul fiume Adda, illuminate in parte con torce e fiaccole.

La cerchia murariaPorta Cremona, il Rivellino, le Casematte, la Torre del Guado: un’ambientazione suggestiva in cui Davide rievocherà quest’affascinante vicenda del primo Rinascimento lombardo, fatta di guerreintrighidenaro e tradimenti.

Sospeso fra documentario e spy story, il racconto di Davide sarà basato sulle sue ricerche e non si limiterà a enumerare i fatti o i dettaglî cronachistici, né sarà una semplice visita guidata néi luoghi della vicenda: invece, sarà l’occasione per un discorso articolato (ma proprio per questo interessante e coinvolgente) su un intero periodo storico e sull’eredità che ha lasciato: societàeconomiausiartitradizionicuriosità (a Pizzighettone e non soltanto).

Ci saranno le vicende politiche, con il loro immancabile séguito di speranze e delusioni; le personalità più in vista dell’epoca, veri e proprî VIP fra Medioevo e Rinascimento; le questioni maggiormente sentite e dibattute, come le tasse – tema sempre di attualità – e i timori per un futuro incerto. Difficile non ritrovare anche nell’attuale vita quotidiana punti di contatto con questo passato soltanto in apparenza lontano.

Ispirato al teatro di narrazione, lo spettacolo Pizzighettone 1449: intrigo al castello sarà una duplice occasione: un suggestivo percorso serale al lume di torce e fiaccole e uno spunto per conoscere e rivivere la storia.

La trama

Gli scenarî in cui si sviluppa la trama di Pizzighettone 1449: intrigo al castello sono le guerre fra i potentati dell’Italia settentrionale alla metà del Quattrocento, infiammatesi dopo la scomparsa del duca di Milano Filippo Maria Visconti, morto senza successori diretti nel 1447.

Tre sono i personaggî principali della vicenda e il più famoso è Francesco Sforza Visconti: figlio illegittimo del condottiero romagnolo Muzio Attendolo e capitàno egli stesso, che una sorprendente e abilissima carriera porterà a diventare sovrano di Milano.

Ma nell’estate 1449 è “soltanto” conte, signore di Cremona, Pavia, Piacenza e Parma. Otto anni prima ha sposato Bianca Maria Visconti, figlia legittimata di Filippo Maria. La moglie gli ha portato in dote Cremona stessa, mentre il legame con il casato della Vipera gli ha fruttato il rango comitale, il privilegio di apporre il prestigioso cognome visconteo accanto al proprio e (cosa più importante) un valido piazzamento per la successione al suocero.

Pavia gli si è consegnata nel 1447, dopo la morte del duca (grazie anche all’appoggio della suocera Agnese Del Maino, madre di Bianca Maria). Nel medesimo anno, al termine di un duro assedio, Francesco ha conquistato Piacenza e nel 1448 ha ottenuto la definitiva sottomissione della città.

Il secondo protagonista è lo stesso castello di Pizzighettone. Nel XV secolo il borgo riverasco è considerato una località strategica, centro fortificato sulle due sponde dell’Adda in grado di controllare i transiti fra Cremona, Crema, Lodi, Pavia e Piacenza. Vi si trovano un ponte sul fiume, una rocchetta presso l’odierna borgata Gera, una cerchia muraria e – appunto – un castello: cuore dell’intera roccaforte, questo fortilizio è situato sulla riva orientale dell’Adda ed è governato da un castellano.

Proprio quest’ultimo personaggio è il terzo attore: Antonio Crivelli, che a Pizzighettone è giunto sin dal 1437, nominato castellano dall’allora duca Filippo Maria. Appartiene a una famiglia della nobiltà milanese che da anni presta servizio presso i signori viscontei e che si è specializzata nelle castellanie. Ad Antonio è toccata quella pizzighettonese; peraltro, in un momento critico, perché dal 1423 il Ducato di Milano è impegnato contro varie potenze italiane (Venezia e Firenze su tutte) in una lunga guerra che coinvolge anche la fortezza riverasca, ambita da molti.

La narrazione di Pizzighettone 1449: intrigo al castello (basata su accurate ricerche documentarie condotte da Davide stesso) riguarderà anche molti altri personaggî che nella Lombardia della metà Quattrocento tentano di affermare o di mantenere il proprio ruolo.

In particolare, gli antagonisti déi tre interpreti principali. Anzitutto, gli uomini dell’Aurea Repubblica Ambrosiana, il regime che si è costituito a Milano sùbito dopo la morte di Filippo Maria: dal duca ha ereditato parte déi dominî viscontei e fra questi Pizzighettone, ove ha mantenuto come castellano proprio Antonio Crivelli, seppur tra reciproci sospetti. Poi, i capi della Serenissima Repubblica di San Marco: il contendente che da Venezia cerca in ogni modo di estendere il suo territorio in Lombardia, anche creando e rompendo trattàti con Francesco Sforza Visconti (alleato-concorrente tanto infido quanto la Repubblica lo è néi confronti del condottiero stesso). Infine, i fratelli Francesco e Jacopo Piccinino, capitani di ventura al servizio prima di Filippo Maria e poi della Repubblica Ambrosiana: più che avversarî, sono nemici irriducibili di Francesco Sforza Visconti, contro cui il futuro duca di Milano si scontrerà per quasi tutta la vita.

Destreggiandosi tra sotterfugîingannitrattative e colpi di scena, Francesco Sforza Visconti riesce con abilità (e fortuna) a portare dalla propria parte il castellano di Pizzighettone: il 28 agosto 1449 si impadronisce finalmente della piazzaforte riverasca.

Con la conquista del caposaldo sull’Adda le sòrti della Lombardia si avviano con decisione verso una nuova epoca e per i tre protagonisti della vicenda si aprono nuovi scenarî: per Francesco Sforza Visconti sono Milano, il ducato e il potere tanto ambìto; per il castellano Antonio Crivelli ricchezze e onori; per Pizzighettone un nuovo capitolo della sua lunga e affascinante storia.

La vicenda

Il 13 agosto 1447 muore nel Castello di Porta Giovia di Milano il duca Filippo Maria Visconti. Cinquantacinquenne, figlio del fondatore del ducato milanese Gian Galeazzo (1351-1402) e fratello minore del secondo duca Giovanni Maria (1388-1412), per 35 anni Filippo Maria ha governato i territorî viscontei.

Alla metà del XV secolo il Ducatus Mediolani si estende dal Piemonte orientale alla Lombardia e dal Ticino all’Emilia e alla Toscana. Fra gli Anni Dieci e Venti del Quattrocento Filippo Maria ha dedicato i proprî sforzi politici e militari a ricostruire i dominî di famiglia, disgregatisi dopo la prematura morte del padre e durante il disastroso ducato del fratello.

La ricomposizione del ducato è andata di pari passo con i tentativi di riaffermare l’influenza viscontea nell’Italia centro-settentrionale, molto forte al tempo di Gian Galeazzo. Fra gli Anni Venti e Trenta Filippo Maria si è insignorito anche della Repubblica di Genova e di diverse terre in Romagna.

Tale politica ha messo in urto la potenza milanese con altre potenze: la Repubblica di Venezia, quella Fiorentina, gli Stati della Chiesa, il Ducato di Savoia, la Confederazione degli Otto Cantoni. Ne sono scaturiti numerosi conflitti armati, da cui il ducato visconteo è uscito vittorioso fino al 1425.

Dopo questa data, però, la situazione si è capovolta: l’insegna della Vipera è stata ripetutamente sconfitta e ha dovuto ripiegare, così come le ambizioni di Filippo Maria, sempre più in difficoltà nel panorama sia italiano sia europeo. Gli stessi dominî viscontei hanno perso parecchî territorî in séguito ai trattàti di pace e ai rovescî politici: Brescia, Bergamo, Vercelli, le terre della Liguria e quelle romagnole.

Per affrontare le guerre combattute nei suoi 35 anni di ducato Filippo Maria ha via via arruolato numerosi capitani di ventura, le cui compagnie armate costituiscono il nerbo del sistema militare quattrocentesco: Francesco Bussone detto “Conte Carmagnola” (1385-1432), Luigi Dal Verme (1390 circa-1449), Niccolò (1386-1444), Francesco (1407-1449) e Jacopo Piccinino (1423-1465), Bartolomeo Colleoni (1395/1400 circa-1475).

Francesco Sforza Attendolo (1401-1466) è fra questi condottieri. Figlio illegittimo del capitano romagnolo Giacomo (o Muzio) detto Sforza (1369-1424), Francesco ha iniziato la propria carriera militare nell’Italia centro-meridionale a fianco del padre (da cui ha ereditato il nome di guerra, Sforza) e nel 1422 è entrato in contatto con la corte milanese, presentato al duca Filippo Maria dal capitàno Guido Torelli (1379-1449).

Nel 1424 Francesco è entrato al servizio visconteo e da sùbito ha dimostrato il proprio valore. Nel 1426, durante la prima guerra che ha opposto il Ducato di Milano alla Repubblica di Venezia, ha partecipato alla difesa di Brescia, mentre l’anno seguente è stato fra i pochi comandanti milanesi a sfuggire alla cattura dopo la battaglia di Maclodio (Brescia), dove l’esercito della Serenissima agli ordini del Conte Carmagnola (passato al servizio veneziano) ha debellato quasi completamente l’intera armata ducale.

I servigî del condottiero sforzesco al sovrano di Milano sono stati preziosi, ma la convivenza tra i due non è stata facile: ambizioso, brillante e sicuro di sé fino alla tracotanza il primo; cupo, intrigante, lunatico e sospettoso il secondo.

Dagli Anni Trenta sono sórti contrasti che sono sfociàti in aperte opposizioni e voltafaccia. Ambedue hanno tentato di avvantaggiarsi del fatto che il duca non abbia avuto successori: l’unica figlia Bianca Maria (1425-1468), avuta dalla nobildonna Agnese Del Maino (?-1465), è stata legittimata dal re dei Romani Sigismondo di Lussemburgo (1368-1437), tuttavia non può ascendere al trono milanese.

L’ambizione di Francesco è divenuta il ducato stesso: così, il condottiero è passato ripetutamente dal fronte visconteo a quello antivisconteo per estorcere a Filippo Maria le nozze con sua figlia (a condizioni vantaggiose). Invece, il capo di casa Visconti ha cercato di influenzare e manovrare il capitàno sforzesco ricorrendo a ripetute promesse, allusioni e ripensamenti sul matrimonio di Bianca Maria.

Fra le diverse concessioni fatte dal sovrano milanese al venturiero figurano diversi feudi nell’Alessandrino e (soprattutto) la proclamazione a figlio adottivo del duca stesso, con il conseguente privilegio di fregiarsi del cognome visconteo (in séguito si firma Francesco Sforza Visconti).

Nel 1432 e nel 1438 Filippo Maria ha ratificato a Francesco il fidanzamento con la figlia; le nozze, invece, sono state più volte rimandate a causa delle guerre e delle reciproche diffidenze tra i due. Soltanto nel 1441, pressato dall’andamento poco favorevole delle proprie azioni politiche e militari (soprattutto, contro la Repubblica di Venezia), Filippo Maria ha concesso la mano di Bianca Maria al condottiero.

La dote della moglie è stata consistenteCremona, il suo territorio (eccetto le roccheforti di Castelleone e Pizzighettone), Pontremoli e il suo districtus. Già titolare di molte signorie fra Romagna, Marche e Abruzzo, il capitàno sforzesco ottiene anche l’elevazione al rango di conte.

L’apparentamento non ha però eliminato l’ostilità tra il duca e il condottiero. L’ultimo conflitto è scoppiato nel 1444, con la formazione dell’ennesima coalizione contro Filippo Maria Visconti. Nel 1446 le truppe ducali hanno invaso il territorio di Cremona e minacciato la stessa città, cuore del potere sforzesco nella Valpadana. Alleata di Francesco Sforza Visconti, la Repubblica di Venezia è intervenuta a favore del conte: lo stesso anno ha cacciato le armate viscontee dal Cremonese e nel 1447 ha portato la guerra nel Ducato di Milano.

Per il sovrano visconteo la situazione è divenuta gravissima e in segreto ha tentato una riconciliazione con il genero: gli ha prospettato l’eventualità di una sua associazione al trono milanese e, addirittura, di un’abdicazione a suo favore; gli ha promesso un ingaggio di cinque anni come condottiero; gli ha consegnato un’ingente somma di denaro.

Tali offerte hanno trovato risposta positiva, poiché neppure a Francesco la fortuna arride: alcuni rovescî militari hanno intaccato la sua influenza e la sua forza come condottiero; le coalizioni antisforzesche gli hanno sottratto numerosi territorî marchigiani e abruzzesi; lui stesso ha dovuto cederne altri per racimolare denaro, di cui ha avuto grave penuria.

Ma il cambio di fronte non è stato esente da conseguenze per il capitàno sforzesco. I governanti della Serenissima hanno scoperto le sue trame con il sovrano milanese e gli hanno revocato l’alleanza, esponendo le sue terre cremonesi al rischio di rappresaglie e invasioni.

Il pericolo si è fatto concreto non soltanto per la prossimità di Cremona alle Terre di San Marco ma anche per la presenza dell’armata veneziana nel cuore del ducato visconteo: fra maggio e giugno 1447 le truppe dello stato marciàno hanno raggiunto le porte di Milano, seminando il pànico nella capitale lombarda.

Le malattie che affliggono Filippo Maria Visconti da anni si sono aggravate e il duca non è riuscito ad affrontare la situazione. La morte del sovrano complica ulteriormente lo scenario: sia per Milano sia per Francesco Sforza Visconti.

Pur avendo garantito sopravvivenza e spazî politici al Ducatus Mediolani, il defunto lascia ai suoi sudditi un’eredità onerosa: oltre un ventennio di guerra più o meno guerreggiata, la perdita di numerosi territorî, le casse ducali prosciugate dalle campagne militari, l’esercito veneziano accampato vicino alla stessa Milano, la mancanza di chiare indicazioni sulla successione al trono.

La situazione è così esasperata che néi giorni immediatamente successivi alla morte del duca parecchie città del dominio visconteo si separano da questo consegnandosi alla Signoria di Venezia o proclamandosi repubbliche. Anche a Milano se ne costituisce una: l’Aurea Repubblica Ambrosiana, decisa a raccogliere il lascito politico di Filippo Maria accantonando il passato ducale.

Francesco apprende la morte del suocero mentre si trova a Cotignola (Ravenna), terra di origine del padre e tradizionale roccaforte della famiglia Sforza. Incerto su come muoversi nello scenario che si è appena aperto, il condottiero decide di ritornare a Cremona.

A Parma riceve un’ambasceria del nuovo stato milanese, che gli propone di diventare capitàno generale della Repubblica Ambrosiana. L’ intento déi maggiorenti repubblicani néi confronti del condottiero è molteplice: servirsi delle sue capacità militari per proseguire la guerra contro Veneziaaffermare grazie al suo prestigio il potenziale del neonato regime; tenere sotto controllo la sua ambizione di succedere ai Viscontievitare che la Serenissima lo ingaggi.

Lo stato ambrosiano è debole, tuttavia Francesco non ha forze e appoggî sufficienti per marciare su Milano, debellare la Repubblica e contemporaneamente tenere a bada l’esercito veneziano.

Nonostante le proteste della moglie Bianca Maria (avversa alla Repubblica), Francesco prende tempo e fa rientro a Cremona, per valutare meglio la situazione e conoscere le intenzioni di altri condottieri già al servizio del defunto duca: soprattutto, i bracceschi Francesco e Jacopo Piccinino, che gli sono tradizionalmente ostili.

L’incontro tra Francesco e i capitani ex viscontei avviene alla fine di agosto a Pizzighettone. Nel XV secolo la cittadina cremonese è considerata una località strategica, centro fortificato sull’Adda in grado di controllare i transiti fra Cremona, Crema, Lodi, Pavia e Piacenza. All’epoca vi si trovano un ponte sul fiume, una rocchetta presso l’odierna Gera, una cerchia muraria e un castello, posto sulla sponda orientale dell’Adda.

Oggi questo fortilizio non esiste più (almeno, nella sua interezza): all’interno del centro storico ne rimangono le mura e le fòsse settentrionali, gran parte delle fondamenta e la Torre del Guado, affacciata sul fiume.

Il Castello di Pizzighettone è molto importante per la sicurezza della signoria viscontea. Filippo Maria stesso vi ha risieduto nel 1427; se ne è preso particolare cura, promovendo consistenti opere di restauro e potenziamento svoltesi fra gli Anni Venti e Trenta. Inoltre, ha voluto riservarsene il possesso anche dopo il 1441, escludendolo dalla dote destinata alla figlia Bianca Maria.

Preposto al comando della guarnigione è Antonio Crivelli (?-1460). Milanese, è cadetto di una famiglia nobile che da molti anni presta servizio per i Visconti e che si è specializzata nelle castellanie. A Pizzighettone è giunto nel 1437, nominato castellano dall’allora duca Filippo Maria.

L’incontro fra il conte e i venturieri ex viscontei ha esito positivo: così, Francesco Sforza Visconti accetta il capitanato ambrosiano. Antonio Crivelli, invece, consegna il Castello di Pizzighettone alla Repubblica milanese, che lo conferma nella carica di castellano.

Nel settembre successivo il condottiero sforzesco inizia una serie di vittoriose operazioni militari che portano al ripiegamento dell’esercito veneziano e alla riconquista di varî territorî: Pavia (incamerata come dominio personale), Piacenza, Tortona (Alessandria) e buona parte della Geradadda. La serie culmina nel settembre 1448 con la battaglia di Caravaggio, dove riesce a catturare quasi tutta l’armata veneziana operante in Lombardia.

A questo punto la Repubblica Ambrosiana ritiene siano maturi i tempi per trattare la pace: la Serenissima è in difficoltà e il crescente successo personale di Francesco Sforza Visconti può diventare un pericolo per la sicurezza del regime repubblicano. Le trattative con Venezia sono intavolate in segreto; tuttavia, gli informatori sforzeschi ne vengono a conoscenza e il condottiero decide di battere sul tempo il governo ambrosiano.

Il Trattato di Rivoltella dell’ottobre 1448 sancisce il passaggio di Francesco alla Signoria di Venezia che lo incarica di comandare le operazioni contro la repubblica milanese.

Il cambio di schieramento non interrompe i progressi sforzeschi: Francesco occupa Piacenza, il Varesotto, parte del Milanese, Novara, Lecco, Parma, Borgo San Donnino (ora Fidenza, Parma), Alessandria, Tortona (Alessandria). Non li interrompe neppure l’irriducibile ostilità déi condottieri Piccinino, né l’intervento del duca Ludovico di Savoia (1413-1465), che nel marzo 1449 si allea con lo stato ambrosiano ma il cui esercito è sconfitto già in aprile a Borgomanero (Novara).

Fra maggio e l’inizio di agosto le armate sforzesche si impadronisco di Melegnano (Milano), Vigevano (Pavia), Lugano (Ticino), Bellinzona (Ticino), Sant’Angelo Lodigiano (Lodi). Ora, a difendere Milano rimangono ben pochi presidî: Cassano d’Adda (Milano), Como, Lodi, Monza (Monza e Brianza), San Colombano al Lambro (Milano), Trezzo sull’Adda (Milano), Vimercate (Monza e Brianza). E Pizzighettone.

Il biografo sforzesco Giovanni Simonetta (1420-1490), fratello minore del segretario Francesco detto Cicco (1410-1480), riferisce che dopo la conquista di Sant’Angelo Lodigiano nell’agosto 1449 il conte Francesco, «mentre attraversava il Lodigiano, fu informato da Antonio Crivello, castellano della rocca di Pizzighettone, e da suo fratello maggiore Ugolino, da poco rifugiatosi là in segreto da Milano, che avevano deciso di consegnargli la rocca».

Benché Simonetta non li menzioni, nel 1449 all’interno del Castello riverasco si trovano altri due fratelli di Antonio, Andrea ed Enrico: evidentemente, per la famiglia Crivelli è stato importante mantenere la castellania pizzighettonese e quindi la sicurezza di una solida fortezza.

Il biografo sforzesco racconta di più. «Già prima» dell’agosto 1449 Crivelli ha avuto l’intenzione di consegnare il presidio a Francesco Sforza Visconti: forse, tra l’agosto e il settembre 1447, quando il condottiero si è recato a Pizzighettone per parlamentare con i capitani ex viscontei. Ha temuto ritorsioni contro i proprî familiari e «affinché i Milanesi non facessero alcun male» a loro, ha temporaneamente accantonato i suoi propositi.

In due anni, però, le cose sono cambiate. Francesco Sforza Visconti è diventato un nemico della Repubblica Ambrosiana: un avversario che guadagna terreno giorno dopo giorno. Invece, il governo milanese annaspa fra mille difficoltà: denaro, soldati, cibo, cavalli, armi, appoggî politici.

Per di più, nel febbraio precedente un sanguinoso colpo di stato ha rovesciato la fazione fino ad allora dominante su Milano e ha dato il potere ai più estremisti. La consorteria déi Crivelli è stata travolta dai tumulti: Ugolino è riuscito a fuggire, ma altri membri della famiglia sono stati uccisi.

Trattare con gli sforzeschi è un azzardo potrebbe costare il patibolo ad Antonio e a Ugolino: il rischio è grande, ma altrettanto grandi sono i possibili vantaggî.

Simonetta afferma siano stati i Crivelli a stabilire i contatti nell’agosto 1449, ma non è escluso che tentativi fossero stati fatti anche in precedenza. Soltanto pochi chilometri separano Cremona di Pizzighettone; inoltre, il cronista bresciano Cristoforo da Soldo riferisce che «Madonna Biancha, donna del ditto Conte, seppe tenir modo com il castelano de Picigitono ch’el gli dete la ditta roccha per certa quantità de’ dinari». Forse Bianca Maria si è adoperata per aprire canali di comunicazione segreti: è già avvenuto nella dedizione del Castello di Maccastorna (Lodi), consegnato a Francesco Sforza Visconti dai fratelli Ernesto e Onofrio Bevilacqua nell’ottobre 1448.

Certi, invece, sono i «dinari». Antonio e il fratello intendono sì consegnare la fortezza, ma sanno quanto valga per loro e per il condottiero: perciò, gli chiedono «di mandar loro un emissario di fiducia» per trattare la faccenda, come afferma Simonetta.

Così, il conte Francesco pone il proprio accampamento a Lodi Vecchio (Lodi) e invia ai Crivelli un negoziatoreGiovanni Caimi (?-post 1478).

Per sostituire le insegne milanesi con quelle sforzesche il castellano avanza precise richieste: una forte somma di denaro; la sua momentanea conservazione nella castellania e, in futuro, «qualchi altri notevoli offitii»; i feudi di Lomello (Pavia) e Garlasco (Pavia) per sé e una tenuta a Gorla (oggi quartiere di Milano) per i fratelli Andrea ed Enrico; un rendita annuale garantita dall’erario milanese; un aiuto risolutivo per «conseguir la razon sua» contro la comunità di Pasturana (Alessandria); la nomina di Andrea a castellano della «Rocheta del Capo del Ponte» di Pizzighettone; l’esenzione da alcune tasse e gabelle per sé, Andrea, Enrico e Ugolino, nonché per i rifornimenti al castello pizzighettonese; la conferma déi privilegî di un altro fratello, Jacopo (?-1466), abate a Santa Maria a Rivalta Scrivia presso Tortona; la benevolenza del conte verso il fratello Ugolino, «disfatto dentro e di fuora» dopo il colpo di stato milanese.

Data l’importanza della roccaforte, Francesco accetta, nonostante l’onerosità delle richieste.

Nella notte fra il 26 e il 27 agosto 1449 Antonio Crivelli e Giovanni Caimi firmano il capitolato per la cessione del castello alla presenza del capitàno sforzesco Roberto Da Sanseverino (1418-1487). L’accordo è siglato «nella Rocca di Pizzighettone, nell’appartamento dello stesso Antonio»: probabilmente, all’interno della Torre del Guado o negli ambienti attigui.

Il castellano ha richiesto 8.100 ducati: 3.100 gli vengono consegnàti in contanti; al posto degli altri 5.000 gli sono ceduti sette anni delle rendite provenienti dalla «Corte de’ Cavalcabovi», una tenuta presso Corte Madama di Castelleone.

Antonio Crivelli giura nelle mani di Giovanni Caimi e in quelle di Roberto da Sanseverino, rappresentanti di Francesco Sforza Visconti, di «tener la detta Rocha ad nome et fidelità della Signoria Sua et la Illustrissima Madonna Biancha et Galeazmaria Suo figliolo».

Il Castello di Pizzighettone è già sforzesco, ma pochi lo sanno. Soprattutto, non lo debbono sapere 500 cavalieri e 300 fanti déi condottieri Francesco e Jacopo Piccinino: le truppe repubblicane che stazionano appena fuori Pizzighettone e rappresentano il principale ostacolo alla dedizione della roccaforte.

Crivelli concorda che la mattina del 28 agosto le milizie déi Piccinino siano assalite dai soldati sforzeschi con un attacco a sorpresa. Tale irruzione deve avvenire attraverso il ponte sull’Adda e prima ancóra attraverso la Rocchetta «verso Lode», il cui castellano è Gerardo Da Alzate.

Grazie alla fortificazione di cui è al comando, costui controlla il presidio sulla sponda Ovest del fiume nonché una testata del ponte. Gerardo partecipa certamente al complotto: è assai probabile che sotto le mura della Rocchetta siano ripetutamente transitàti non soltanto Antonio e Ugolino Crivelli ma anche Giovanni Caimi e Roberto da Sanseverino, due nemici della Repubblica Ambrosiana; inoltre, senza il suo aiuto è pressoché impossibile compiere l’irruzione improvvisa contro i quartieri bracceschi.

Gerardo non può non sapere, tuttavia si tiene in disparte: forse non vuole rischiare troppo, magari non ha completa fiducia nel piano. Comunque, per lui Antonio Crivelli ha chiesto espressamente 500 ducati e un futuro incarico nell’amministrazione sforzesca.

Appena ricevuti a Lodi Vecchio i capitoli firmàti, Francesco Sforza Visconti invia nuovamente Roberto Da Sanseverino a Pizzighettone: stavolta, con 1.000 cavalieri, tutta la fanteria e un certo numero di giovani cremonesi scelti.

All’alba di giovedì 28 agosto scatta la trappola: le truppe sforzesche irrompono nel borgo attraversando la Rocchetta, il ponte e il Castello. Le parole di Simonetta sulla sòrte déi soldati milanesi sono fulminee quanto l’azione: «dato l’assalto, quelli son fatti prigionieri e svaligiàti déi loro beni».

La notizia dell’accaduto si diffonde velocemente: a Lodi perviene il giorno stesso, mentre a Piacenza il giorno successivo. A Milano trapelano voci ma il governo repubblicano tenta finché può di nascondere il fatto.

I Pizzighettonesi accettano di buon grado la nuova signoria: Soldo menziona «grande feste», mentre Simonetta rileva come la dedizione sia stata «all’unanimità», aggiungendo che gli abitanti e la famiglia Crivelli «da una piccola opportunità» ottengono «grandi ricchezze e fortune».

Crivelli, in effetti, ricavano numerosi vantaggî. Il 5 ottobre a Colturano Francesco Sforza Visconti firma un atto che conferma ad Antonio i capitoli siglàti qualche settimana prima. Nel documento è ancóra citato come «castellano della Rocca di Pizzighettone».

Dopo il tradimento il regime milanese ha posto sulla testa di Antonio e Ugolino Crivelli una taglia di 2.000 ducati: un decimo di quella che pende sul condottiero sforzesco.

Ma la perdita di Pizzighettone ha ridotto ulteriormente lo spazio vitale della Repubblica Ambrosiana, che a stento riesce a rallentare l’avanzata di Francesco: l’11 settembre è caduta anche Lodi e poco è valso il mancato soccorso sforzesco a Crema (Cremona), che cinque giorni dopo si consegna alla Serenissima.

Alla fine dello stesso mese la stessa Repubblica di Venezia e quella Ambrosiana concludono una pace contro il signore di Cremona, ma anche questo tentativo si rivela inutile per bloccare le truppe di Francesco. Il 25 febbraio 1450, circondata e ridotta alla fame, Milano apre le porte al condottiero: l’Aurea Repubblica Ambrosiana cessa di esistere.

Francesco Sforza Visconti, il figlio illegittimo di un capitàno di ventura romagnolo, ha coronato la sua ambizione: è signore di Milano, potente fra i potenti dell’Italia rinascimentale. Il nuovo dominus comincia sùbito a risistemare i dominî appena acquisiti e prepara la cerimonia per la proclamazione ufficiale a duca del successivo 25 marzo. Ovviamente, non dimentica gli impegni pattuiti con chi lo ha aiutato nella scalata al potere.

Antonio Crivelli è fra questi. L’ex castellano dell’ormai cessata repubblica è rimasto per qualche settimana al comando del Castello pizzighettonese; con lui il fratello Andrea, che ha sostituito Gerardo Da Alzate nella castellania della Rocchetta del Ponte.

Con l’instaurazione del nuovo dominio sforzesco Antonio riceve soldi e «notevoli offitii»: ottiene la «Corte de’ Cavalcabovi» e la nomina a podestà di Pavia. Il 22 dello stesso mese Francesco Sforza Visconti eleva l’ex castellano al rango di conte e lo investe di Lomello e Dorno (Pavia), in sostituzione di Garlasco. I discendenti di Antonio tengono questi feudi più di 300 anni, sino alla fine del XVIII secolo.

Ai suoi fratelli Andrea, Antonio, Ugolino sono accordàti i beneficî e le esenzioni che il capitolato sottoscritto nell’agosto precedente ha previsto. L’altro suo fratello Jacopo nel 1457 diviene vescovo di Novara.

A sostituire Antonio e Andrea nelle castellanie pizzighettonesi provvedono Michele Cassani da Cotignola chiamato il Battaglia, poi Lorenzo da Perugia detto il Folignato e suo cognato Gianbono da Mortara.

Gerardo Da Alzate è invece assegnata la podesteria di Castelnuovo Bocca d’Adda (Lodi).

Giovanni Caimi ottiene l’incarico di commissario ducale a Pizzighettone, poi quello di cancelliere.

Francesco Piccinino muore nell’ottobre 1449, mentre suo fratello Jacopo abbandona la Lombardia alla caduta della Repubblica Ambrosiana. Jacopo sposa nel 1464 una figlia illegittima di Francesco Sforza ViscontiDrusiana (1437-1474), con il quale è fidanzato sin dal 1449. L’anno seguente è ucciso a Napoli durante un complotto ordito dal suocero e da Cicco Simonetta.

Dopo i fatti del 1449 il fedele segretario continua a servire la dinastia Sforza, per tre generazioni di duchi milanesi: Francesco, suo figlio Galeazzo Maria (1444-1476), la moglie di quest’ultimo Bona Savoia (1449-1503) e il loro figlio Gian Galeazzo Maria (1469-1494). Nel 1479 è arrestato e processato dietro esplicita richiesta di Ludovico Maria detto il Moro (1452-1508), figlio di Francesco Sforza Visconti: l’anno seguente è decapitato a Pavia.

Il condottiero sforzesco governa Milano sino al 1466. L’8 marzo del medesimo anno Francesco Sforza Visconti è vittima di un attacco di idropisia che gli è fatale. Il corpo del duca è sepolto nel Duomo milanese e i suoi resti rimangono lì fino al XVI secolo, quando la sua tomba è rimossa e successivamente dispersa.

La moglie Bianca Maria gli sopravvive per due anni: muore nel 1468 a Melegnano, forse fatta avvelenare dal figlio Galeazzo Maria.

Informazioni

Ente organizzatore:
«Gruppo Volontari Mura» di Pizzighettone

Facebook:
pizzighettone1449

E-mail (Davide):
e v e n t i @ t a n s i n i . i t

Telefono (Davide):
3 4 9  2 2 0 3 6 9 3

Biglietto:
5 € (contributo a favore del «Gruppo Volontari Mura» di Pizzighettone).

L’evento non ha scopo di lucro. Si svolge anche in caso di maltempo (il percorso è in parte entro ambienti coperti). Non è richiesta la prenotazione.

Partenza dall’Ufficio Informazioni di Piazza d’armi.

Pizzighettone 1449: intrigo al castello non è una rievocazione storica con personaggi in costume e animali.

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